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Curiosita'

Vita di Paese

di Franco Franci

Il giro di Buon Anno. Pianaccio 1956
Il giro di Buon Anno. Pianaccio 1956

Pianaccio, attraversato dal torrente Bagnadori è circondato dai monti Pizzetto, Calvario, Fabuino e Grande.
Si racconta che i primi abitanti fossero fuoriusciti dello Stato Pontificio; si installarono in questa zona di confine vivendo da banditi, estorcendo danaro a quanti attraversavano il territorio.
I residenti, soprannominati "CIAFFARI", sono attualmente una quarantina. Nella stagione estiva la popolazione arriva a qualche centinaio, fra villeggianti e pianaccesi (i forasteri) che, pur abitando in altre zone d'Italia, hanno sistemato la casa natia e vengono a trascorrere le  vacanze al fresco.
C’è una sola bottega, una locanda, un caffè, una scuola ormai in disuso. Non c’è il Parroco, non esistono discoteche e cinematografi.
La piccola piazza davanti alla chiesa è intitolata al paesano Don Giovanni Fornasini trucidato a Marzabotto nel 1944. Con le manie di grandezza in voga durante il "ventennio" si chiamava "piazza dell'Impero". La strada che attraversa il paese, costruita nel 1935, ricorda ancora i fasti di quando "c'era Lui"; si chiama infatti via Roma.
Un piccolo cimitero raccoglie le spoglie di quanti hanno espresso il desiderio di riposare in pace fra il silenzio di questi monti. In questo luogo per tradizione le donne sono separate dagli uomini.
L’abitato, pur piccolo, è suddiviso in "12 quartieri" :
Ca’ d'Babon - Borrella - Teggia - Ca’ Nova - Posta - Pianaccio Vecchio - Sambuccion - Vetta al Pra’ - Spessia - Ciston - Casetta - Campo d'Serra.
I paesani sono gelosi delle loro tradizioni anche se, a causa dello spopolamento della montagna, molte hanno perduto la ragione di essere.
Terminato l’ufficio per i defunti, i parenti dell’estinto offrono un filone di pane ad ogni capofamiglia. 
A Natale la fa∫ella, il falò e l’abete illuminato rallegrano il paesaggio.
Per capodanno una banda di buontemponi passa in tutte le case per gli auguri di rito.
L’ultima domenica di carnevale gli uomini, divisi in guardie e ladri, si rincorrono per il paese e a sera, all’interno dell’osteria, vengono celebrati i processi con la condanna scontata dei lestofanti al pagamento di abbondanti libagioni.
Per la Settimana Santa i bambini girano per tutto l'abitato con strumenti caratteristici di legno (battella, raganella, mattutino) cantando filastrocche per scandire le ore del giorno e l'inizio delle funzioni religiose.
La notte di S. Giovanni (24 giugno), i giovanotti trafugano, davanti alle abitazioni delle ragazze da marito, vasi da fiori, utensili da lavoro, biancheria stesa ad asciugare, lasciando indicazioni in versi per il ritrovamento, che è tanto più difficile quanto più carina è la proprietaria.
Il 5 agosto ci si reca alla Madonna dell’Acero. Il pellegrinaggio è un’occasione di svago, una grossa scampagnata per bambini e ragazzi, per gli adulti è un mezzo per avere contatti con le altre comunità della zona. Per arrivare al Santuario il sentiero è molto duro e ripido fino alla sbocada di Bagnadori, poi quasi pianeggiante e tutto sotto gli alberi. Arrivati alla Faggia di Rosaji, si iniziano le preghiere. Con l'avvento dell'automobile, il piacere della gita a piedi non esiste più, e quei pochi che vogliono ripercorrere il vecchio tracciato scoprono che è stato distrutto da una bruttissima e solatia strada percorsa solo molto raramente dai mezzi della Forestale.
Numerose sono le ricorrenze religiose durante tutto l’arco dell’anno, con processioni alle quali la comunità intera partecipa dimenticando passioni politiche e rancori. Le feste servono ad alleviare la vita quotidiana che è molto dura. Ci si alza al canto del gallo ma, per le troppe fatiche, più stanchi di quando ci si è coricati. Lo scomodo e scartocciante paiariccio, un "materasso" fatto con una fodera a quadretti bianchi e ruggine riempito con le foglie delle pannocchie, fa un rumore fastidioso anche al solo respirare e non concilia certo il riposo.
L'acqua corrente in casa è un lusso. Ad approvvigionarla provvedono i più piccoli che vanno alla sorgente o alla fontana con grandi secchi. Per lavarsi c’è, in ogni camera, una brocca ed un catino smaltati posti su un lavabo in ferro battuto.
Il gabinetto è fuori in una baracca di legno o, per i meno fortunati, fra gli alberi.
Gli anziani osservano el bus d’la Iacma per le previsioni del tempo e si regolano di conseguenza.
Ogni abitazione ha un piccolo orto per coltivare verdure ed ortaggi; non mancano galline e polli che razzolano nell’aia. Alcune famiglie possiedono anche il porcello che permette di sopperire alla povera e misera alimentazione. Quando ad autunno inoltrato viene sacrificato è una grande festa per i bambini; per un po’ di tempo avranno da mangiare in abbondanza.
Fra gli alberi si ricavano dei piccoli appezzamenti di terreno dissodandoli dai molti sassi, appianandoli e costruendo muretti e terrazzi, per coltivare le patate, el marzòlo (orzo) e un po' di grano. Ogni paesano è talmente geloso della sua proprietà al punto di recintarla con filo spinato o con un muro.
Le famiglie benestanti possiedono un gregge di pecore. Sui  pascoli viene costruito un casolare per la mungitura, la produzione del formaggio, la tosatura e per riparo notturno di pecore e pastore. La lana, in minima parte viene utilizzata per fare indumenti per l’inverno, il restante è portato al mercato per essere venduto o barattato con altre merci.
Gli uomini del paese, riuniti in un consorzio, tagliano la legna per venderla ai commercianti della città; il legname viene trasportato dalla macchia alla strada con fili a sbalzo e teleferiche che causano non pochi lutti. Si produce anche il carbone, costruendo grosse cataste ricoperte con erba e fango (paltriccia), sotto le quali viene fatto fuoco.
La donna è la regina incontrastata della casa, motore trainante della modesta economia domestica. Prepara il mangiare per tutta la famiglia sulla stufa o sui fornelli a legna posti sotto la finestra; una volta la settimana fa il pane che cuoce, assieme alle altre donne, nel forno. Lava i panni al fiume o al lavatoio (Fontanina, Madonnina, Peschiera). Per fare il bucato pone la biancheria nella conca, la ricopre con un telo sopra il quale mette la cenere e fa attraversare il tutto da sapone disciolto nell’acqua bollente. Va a fare la spesa in bottega facendo “segnare” il conto, che pagherà a fine mese, su un quadernetto con la copertina nera o madreperlata verde.
Un compito fondamentale, al quale non vuole assolutamente rinunciare, è la crescita dei figli, la loro salute, la loro educazione.
All’uomo toccano le fatiche più pesanti, tagliare la legna per l’inverno, vangare il terreno per le coltivazioni, accudire gli animali, fare la manutenzione della casa. Parte al mattino quando è ancora buio con qualche ciaccio freddo, un pezzo di formaggio e un po’ di vino nello zaino.
I bambini, in un locale sotto la chiesa, frequentano la scuola elementare, una classe unica dalla 1° alla 5° con una sola maestra e con molti disagi per tutti. Terminate le lezioni, eseguiti svogliatamente i pochi compiti, sono coinvolti pesantemente nelle attività lavorative; al più giovane, “il meo", toccano i lavori più umili.
La castagna, "il rimedio più usato contro la fame" è la base della misera economia del paese. Il saporito frutto, protetto dal riccio, viene usato in mille maniere, lessato, arrostito, seccato e ridotto in farina conservata in grandi casse in cucina.
Prima della castgnidura  nel bosco bisogna tagliare erba e arbusti (armondàa), pulire e costruire le  roste. La raccolta che viene fatta in modo selettivo legandosi alla cintola due sacchetti nei quali riporre le castagne a seconda della dimensione.
Ogni castagneto ha il suo casone al quale si porta il raccolto che viene versato sul gradiccio. Nel sottostante ambiente, viene tenuto acceso un fuoco controllato ricoprendo i tronchi con l'olva (scorza delle castagne). Calore e fumo disseccano le bucce fino a farle distaccare dalla polpa. Questa operazione è laboriosa ed impegnativa, bisogna vegliare il fuoco giorno e notte, rivoltare periodicamente le castagne per esporle tutte al calore.
Finita l'essiccatura, le castagne vengono messe nei bgonci e battute con la stanga (palo con una estremità munita di una corona dentata in ferro), per frantumare la buccia e  distaccarla dalla polpa. Con la vassora, per ventilazione, si separano poi gusci dai frutti che sono pronti per essere portati al mulino. Questo lavoro faticoso, è di competenza esclusiva di donne, vecchi e bambini; gli uomini in questo periodo dell’anno sono emigrati, in Sardegna o in Maremma, a fare i boscaioli.
Con l’arrivo del benessere fortunatamente la vita nei paesi di montagna è decisamente migliorata e le persone, non più obbligate a fatiche estenuanti per sbarcare il lunario, hanno distrutto gli oggetti e abbandonato le cose che ricordavano loro i tempi della miseria.
Girando per i boschi si trovano così i resti di casolari, casoni, piazze da carbone e muri costati sacrifici e sudore ai nostri vecchi ed ora ridotti a scheletri, patrimonio di una civiltà montanara e tristi testimoni di un mondo ormai scomparso per sempre.


(La Mùsola n.63, giugno 1998)



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