Vallata Est del Corno alle Scale
Uno squarcio di luce che si apre all'improvviso fra i rami di un acero e quieta la tempesta di neve avvolgendo con i suoi raggi caldi e materni i due pastorelli.
La tempesta, l'albero, la Madonna ed i fanciulli, non poteva esserci copione migliore per l'origine di uno dei luoghi di culto più cari alle genti dell'Appennino: il santuario di Madonna dell'Acero.
Loro, i montanari, lo sanno bene com'è dura la tempesta, come tutto diventa difficile ed ostile: il vento che ti ricaccia in gola il respiro, i rami che scricchiolano e ondeggiano fino al limite della rottura, ma soprattutto quella neve fitta, che penetra ovunque e ti gela l'anima. In questi casi tutto diventa faticoso e sembra davvero impossibile uscirne vivi: solo un miracolo può salvarti!
In realtà quella Luce si sarebbe potuta accendere ovunque, non ci sono limiti alla provvidenza Divina dice il Vangelo, ma la Madonna scelse proprio i rami di un acero, non un abete o un castagno, ma un acero, il tenace acero, che nasce là dove per le altre piante è impossibile vivere. A lui basta poco, un po' di terra, anche nascosta fra i sassi, per abbarbicarsi e stendere le sue radici protendendosi maestoso verso il cielo.
Un miracolo di equilibrio e di forza com'è appunto il carattere del montanaro.
Ed è forse proprio da questo legame, fra la grandezza della natura ed il limite umano, che nasce la devozione profonda che le genti della montagna nutrono verso la Vergine dell'Acero.
Siamo nel 1500 e la notizia dell'apparizione della Madonna si diffuse rapidamente di casa in casa, giù lungo la valle del Dardagna ed oltre, verso Ospitale, Trignano, Fanano ed il vicino crinale toscano a Cutigliano, San Marcello fino a Pistoia.
La devozione dei viandanti che percorrevano questi luoghi fu ben presto avvalorata anche dal racconto di altri prodigiosi miracoli tanto da spingerli ad edificare nel 1535 una prima cappella.
Furono tagliati i rami dell'acero lasciando nel terreno solo il tronco che racchiudeva l'immagine sacra, attorno al quale gli abitanti di Chiesina, da cui dipendeva questo luogo, vi costruirono una piccola cappella in pietra.
Nella visita pastorale compiuta nel 1573 da Monsignor Ascanio Marchesini la chiesa viene descritta come:
"… assai malmessa ed annerita a causa dei fuochi che i pellegrini vi accendono durante la notte della vigilia della festa".
Dotata di un solo altare e priva di qualsiasi arredo eccezione fatta per due candelabri di ferro ed alcuni ex-voto.
Un secolo dopo, nel 1692, la costruzione aveva già assunto le sembianze attuali
"… con tre altari, il maggiore entro una cappella in volta chiusa da balaustre di legno, gli altri due in vani arcuati laterali mentre davanti alla chiesa vi era un portico e l'abitazione dell'eremita".
Ciò che colpisce oggi visitando il santuario è la semplicità e l'armonia di un edificio nato non certo dall'idea di un grande architetto bensì dalla devozione popolare che, pur nel suo stile rustico, ha conferito al complesso un aspetto naturale difficilmente riscontrabile altrove. Un luogo dell'anima, dove il silenzio che ti avvolge all'entrata induce istintivamente alla meditazione e nel quale è possibile percepire distintamente le preghiere delle migliaia di fedeli che nel corso dei secoli hanno affidato le loro sofferenze e le relative speranze alla Madre Celeste.
Internamente il santuario non presenta opere artistiche di rilievo:
Nelle due cappelle laterali sono collocati un quadro ad olio raffigurante l'apparizione del Sacro Cuore di Gesù a Santa Margherita e nell'altro, a sinistra, una tela con la Vergine ed i Santi Giovanni Battista ed Evangelista.
Sull'altare maggiore, chiuso da una balaustra di legno risalente al 1692, è presente invece una piccola tavola in rame dipinta ad olio copia dell'immagine della Madonna del secolo scorso conservata oggi in un luogo sicuro.
In realtà esistono altre due icone più antiche, la prima realizzata nel 1658 su carta "bambagina" da Bartolomeo Coriolano raffigurante la Madonna nell'atto di allattare Gesù Bambino e una seconda ridotta ormai ad un frammento conservata sotto la Madonna in rame che rappresenta:
"… una delle tante effigi che sovrapposte alla primitiva immagine venivano trovate lacerate".
In realtà l'ipotesi più attendibile è che il frammento sia stato deteriorato dall'umidità tipica del luogo anche se il fatto, riportato nelle cronache più antiche, ha fatto nascere la leggenda che nessuna immagine si potesse sovrapporre all'originale senza che misteriosamente venisse strappata, così come, si racconta, che l'effigie della Madonna non potesse essere asportata dal tronco dell'acero senza che vi ritornasse miracolosamente da sola.
Durante i mesi di apertura del Santuario, da maggio a ottobre, è possibile ammirare anche alcuni ex-voto, si tratta di tavolette in legno dipinte che, oltre a testimoniare un evento tragico risoltosi in modo apparentemente miracoloso, rappresentano una preziosa testimonianza storica sugli usi e sui costumi tipici dell'epoca.
Lo stile è quello caratteristico della pittura popolare votiva e raffigurano un incidente, una disgrazia o una malattia rappresentata secondo uno schema ben definito: da una parte il devoto bisognoso, dall'altra la protettrice celeste adagiata in un trionfo di luce e di nuvole radiose.
Accanto alle tavolette votive il santuario ospita anche un altro ex-voto di grande interesse e valore sia per l'episodio ricordato sia per lo stile scelto dal committente.
Si tratta del gruppo di statue in legno di notevoli dimensioni commissionate in segno di ringraziamento da Brunetto Brunori, comandante delle milizie pisane miracolosamente scampato assieme alla famiglia alla battaglia di Gavivana, 3 agosto 1530. Il 5 agosto dopo una fuga rocambolesca Brunetto, nonostante un colpo di lancia lo avesse trapassato da parte a parte, giunse al Santuario dell'Acero assieme alla moglie Lupa ed ai figli Leonetto e Nunziata e, in segno di ringraziamento, fece realizzare il gruppo di statue raffiguranti se stesso e la sua famiglia.
Nel corso dei secoli diversi eventi soprannaturali sono stati attributi alla "Vergine delle Alpi".
Alcuni per la verità assai bizzarri legati alla superstizione popolare, come quello dei banditi capeggiati dal leggendario Ercole intenzionati a saccheggiare il santuario colti da una tempesta di neve in piena estate o il fatto che i pastori che permettevano al bestiame di sporcare il santuario erano puniti con la povertà o addirittura con la morte.
Altri, suffragati da testimonianze, riferiti a guarigioni di sordomuti e paralitici. E' il caso di tal Giuseppe Marcacci originario di La Ca' o quello di un devoto di Gaggio Montano paralizzato alla colonna vertebrale portato all'Acero il 4 agosto 1900 e tornato a casa con le sue gambe completamente guarito.
Un misto di fede e di credenze popolari che hanno contributo ad accrescere il legame fra le genti dell'Appennino e questo santuario, in grado di richiamare ancora oggi centinaia di pellegrini durante tutto l'anno ed in particolare il giorno della sua festa, il 5 agosto, quando dopo la Messa solenne si svolge la processione con l'immagine della Madonna che è portata fin sotto l'acero secolare posto davanti al santuario per la benedizione ai fedeli.
Nascosto nel bosco, all'entrata di Madonna dell'Acero di fronte al parcheggio, si trova il centro visita del Parco di Pian d'Ivo. L'allestimento, che si articola su due piani, è realizzato con pannelli interattivi e teche espositive che sviluppano in particolare gli aspetti geologici dell'area protetta trattati anche con l'ausilio di un grande plastico che permette di cogliere le caratteristiche complessive dell'intero territorio. La struttura è accessibile anche ai disabili grazie ad un percorso che, partendo dalla strada principale, si addentra nel bosco circostante e giunge fin davanti al centro visita.
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