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PRO LOCO PIANACCIO

Curiosita'

La Ca'
Vescovi e Diavoli

di Alessandra Biagi

Vallata Est del Corno alle Scale
Vallata Est del Corno alle Scale

Il nome stesso, La Cà, testimonia le dimensioni che aveva in origine questo paese.
Una casa, forse due, massimo tre, costruite verso la fine del XVII secolo, che sorgevano in quello che oggi con malcelato orgoglio viene definito il centro storico. 
In realtà il nucleo originario del paese, attualmente sul lato destro della strada provinciale, salendo al Cavone, è datato al 1700, ma i dati desunti dai libri canonici confermano che esisteva almeno dal XVI secolo: ciò sembra confermato da alcune date scolpite in architravi di porte e finestre nella parte vecchia del paese. 
Così questo minuscolo borgo è rimasto fino ai primi anni Ottanta quando, le caratteristiche ambientali ma soprattutto la vicinanza con il Corno alle Scale e le sue piste da sci, lo hanno trasformato nel terzo centro del Comune per numero di abitazioni.  
D'altra parte proprio la presenza di tanti piccoli insediamenti è la caratteristica principale dell'alta valle del Dardagna.  Un'estrema frammentazione  frutto delle difficoltà ambientali ma soprattutto della diffusione fin dal Medioevo della piccola proprietà terriera che, contrariamente alle altre zone del territorio provinciale, qui in montagna era particolarmente diffusa. 
Case che prendevano il nome  del  suo fondatore, come  Ca' Gabrielli cioè casa di Gabriele,  o da un particolare mestiere che vi si svolgeva, vedi Ca' Corrieri, casa dei corrieri, oppure dalle caratteristiche fisiche come Le Frascare.  
Una situazione che ha creato la nascita di tanti clan autonomi, quasi famigliari, che vivevano chiusi, si sposavano quasi sempre fra di loro e che spesso si guardavano  in cagnesco, sempre pronti a dare vita a violente risse per un non nulla.  
Un esempio è  l'antico rito delle nozze che ricorda nel suo cerimoniale il tempo in cui il  matrimonio fra giovani provenienti da borgate diverse non era visto di buon occhio e, per questo, oggetto di scaramucce combattute anche a suon di schioppettate fra i rappresentanti dei due paesi.
Adolfo Galassini scrive:
"A volte la disputa fra i rappresentanti dei due paesi, poteva durare anche ore, senza successo, allora si ricorre al re del borgo ove abita la sposa. 
Spesso la parte del re, in veste di capo del borgo, viene svolta dal padre della sposa il quale, interrogato il promesso sposo, ed avendo udito dallo stesso che è venuto a cogliere la pianta pregiata del suo giardino, gli mostra una dopo l'altra diverse ragazze fra le quali anche le sorelle della sposa, ma nessuna viene riconosciuta dal pretendente come la pianta desiderata.  
Viene, infine, presentata la madre della promessa sposa alla  quale  il giovane   risponde  che  quella pianta è  buona  ma  troppo matura  e ne chiede il getto. 
Solo a questo punto entra la sposa, della quale il re ne esalta i pregi e ne raccomanda il giovane di averne cura. 
Quindi si parte per la funzione in chiesa". 
Tanti piccoli borghi, quindi, luoghi senza nessun lusso, nessuna magnificenza, solo quattro mura e un tetto, pietre grosse e finestre piccole, spazi comuni e forni per il pane, ingentiliti dalla presenza di figure e scritte ma soprattutto caratterizzati da quei buffi comignoli rotondi sormontati da pietre che si trovano solo qui, in questa ristretta zona dell'Appennino. 
Come non rimanere affascinati ad esempio dal borgo del Torlaino con i suoi tetti in lastre di arenaria " le piaggne", le date e le scritte tracciate  sugli stipiti di porte e finestre, il prezioso ostensorio scolpito sulla chiave di volta di un portale settecentesco ed i suoi comignoli rotondi disposti in maniera a dir poco scenografica.   
O non rimanere colpiti dalla casa del Guercio, che si favoleggia fosse l'abitazione del potente capo di una feroce banda di briganti così chiamato perché privo di un occhio. L'edificio è  caratterizzato dalla presenza di numerose scritte e sculture: una "mamma", sporgenza semisferica  che richiama la sagoma di una mammella,  una testa  raffigurante un volto assimetrico con un occhio chiuso che ritrarrebbe il proprietario. 
Infine alcune  pietre scritte  che denotano una certa, orgogliosa, insolenza: 
"matto è chi legge chi ascolta è peggio"
o ancora 
"scito ho sto saso con punte e mazoti che non lo vuol guardar si cava gli ochi"
ed infine  
"bene o male che sia fata, con le mane l'o stampata, a chi non li par fata bone serà poi un bel coglione"
Ca' Marcacci: nome attualmente conservato solo da una casa all'ingresso del paese, nelle carte dell'epoca era l'antica denominazione del borgo. 
È sempre stato sotto la parrocchia di Vidiciatico, e di ciò si trova conferma anche nel "Dizionario corografico…" di Calindri del 1782, in cui si trova che qui vivevano 3 famiglie, 5 a Ca' di Mattiozzi e 50 a Vidiciatico.
L'oratorio: è dedicato a S.Antonio Abate, S. Antonio del porcello, fu edificato nel 1753 per volere di un sacerdote originario della Ca', don Pietro Leone Marcacci, che lasciò anche un legato di messe, tuttora in vigore. 
C'è una storia singolare legata alla dedicazione di quest'oratorio. 
Pare che gli abitanti di Monteacuto volessero dedicare un altare della loro chiesa, ma in realtà poi fu una Confraternita, a S. Antonio di Padova, ritenuto più "decoroso" del Santo con il maiale, ma poiché quelli della Ca' stavano per costruire l'oratorio e dedicarlo proprio al Santo di Padova, i monteacutesi si opposero. Per risolvere la cosa si affidarono ad una partita a carte: chi avesse perso, si sarebbe tenuto il Santo meno "nobile"...
Fu così, secondo la leggenda, che La Ca' ebbe la dedicazione al suo S. Antonio.
Cà Corrieri: Altro borgo pieno di fascino, il cui nome è da porre in relazione con i corrieri, in pratica gli antici postini, detti anche caballari se viaggiavano a cavallo o cursores se a piedi. Tale servizio nel Cinquecento era organizzato con punti di ristoro fissi  posti lungo le principali vie percorse dai corrieri che proprio da qui transitavano nel tragitto da e per la Toscana.
Cà Gabrielli: Perfettamente conservato nei suoi elementi tipici, dotato di un caratteristico lavatoio con porticato e di un grande volto di pietra baffuto che troneggia su una parete raffigurante  Giovanni Agostini, il capostipite della facoltosa famiglia proprietaria dell'intero borgo. E' a lui che si deve infatti nel 1792 la costruzione anche dell'oratorio dopo una lunga trattativa con l'allora parroco di Vidiciatico che, timoroso di perdere potere e denaro,  gli impose: 
"… che in detta chiesina non si possa mai cantar messa solenne nel giorno della festa del Santo Titolare, San Pietro,  mantener la cera necessaria quando sarà portato il SS.mo Sacramento o qualche infermo, che tutte le offerte che  si faranno in detta chiesa debonsi consegnare alla parrocchia di Vidiciatico, infine la libertà per il parroco di Vidiciatico di potere celebrare al suo interno la messa in qualunque tempo ed in qualunque giorno".
Ca' di Mattiozzi e piccoli borghi molto belli sotto La Ca.'
Salendo verso il Corno alle Scale si trova invece il borgo di Cà Gianinoni già presente fin dal 1736 e dove esiste un oratorio risalente a XVIII secolo dedicato alla Madonna del Buon Consiglio.
La famiglia di gran lunga più antica e più presente è quella dei Marcacci (detti "Gloria"), seguita dai Poli, entrambe tuttora ben presenti.
Toponomastica
Poiché La Ca' è un paese di costituzione piuttosto recente, rispetto ad altre località del nostro territorio, si potrebbe pensare che sia povero dal punto di vista toponomastico, ma vi posso assicurare che non è affatto così, anche perché ha un territorio piuttosto vasto, che si incunea tra Farne' e Vidiciatico e va da Ca' di Vescovi alla Croce dei Colli e a Rio Ri.
Partiamo da Ca' di Vescovi: molto è stato detto su "La Mùsola" e parrebbe accertata la presenza in questo luogo di religiosi (non è detto che fossero proprio vescovi), forse in relazione alla costituzione dei conventi clandestini. Lì nei pressi si trova Ca'd'Valentìn, un antico e bellissimo edificio datato alla metà del '400, posto sull'antica strada che conduce a Rocca Corneta e attualmente diroccato. 
Noi però, per questa volta, risaliamo verso La Ca', nella direzione opposta, e troviamo Il Plinàrdo, in posizione panoramica verso la Val Dardagna. Questo bel nome potrebbe derivare dal prefisso latino "plio" che significa più, maggiore quantità, unito a "nardo", nome in italiano di diverse piante e in particolare di una graminacea dei pascoli aridi (Nardus stricta) detta fieno di monte o cervino, presente nella nostra zona. Intorno al Plinardo ci sono: La Gra∫éda, La Grasceta, dall'antico francese "grasse", erba: Pianigiani definisce grasceta come "Luogo grasso e fresco, che produce erba da pascere i porci e altri animali nella primavera".
Poi sempre nei pressi ci sono E'CampónI Arvinàcci, tanti piccoli smottamenti che fanno un grossa frana; Al Busétte, piccole buche; I Pra'. Sotto Il Plinàrdo, verso Farne', c'è Ca' d'la Beata, dal nome della proprietaria, speriamo Beata di nome e di fatto. 
Verso La Masera si trova Terraróssola, nota negli Estimi del 1475 come "Terrae Rosulae": pare che il toponimo derivi dal longobardo "rausn", che significa splendore, scintillìo, forse in riferimento a qualche caratteristica del terreno, anche se mi piace pensare a un luogo pieno di rose. Purtroppo oggi ci sono solo rovi e sterpi.
Proseguiamo verso La Ca' sulla vecchia strada comunale detta La Viàccia, con un peggiorativo ingiustificato perché è una bellissima strada. Su questa troviamo E' Srétto, il Serretto, cioè un punto elevato che infatti domina dall'alto tutto il territorio circostante. Nei pressi del Serretto c'è E' Casoncìn, dove si trovava una piccola costruzione non più esistente, poi El Póggio. Salendo ancora c'è La Sertóna, un grosso serretto al femminile, che si affaccia su Le Càmpore, vasti prati che circondano il Serretto.
Com'è noto, sotto La Ca' ci sono diversi borghi databili dal XVI secolo in avanti: Le Borèlle, luogo in cui si raccoglie (o si raccoglieva) acqua; I Maserón, toponimo che forse indica un terreno pietroso, più che grandi mucchi di pietre; La Scaffa dal Zìngare, un enorme masso erratico che deve il suo nome alla presenza di fantomatiche zingare in epoca imprecisata. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale fu utilizzato come rifugio, dato che vi si poteva stare dentro in piedi, munito di una porta di legno di cui oggi rimangono solo i cardini infissi nella pietra. Prima ancora, era usato dai pastori come rifugio di fortuna per le pecore in caso di temporali improvvisi: avevano persino ricavato una piccola nicchia, ancora visibile, in cui conservare il sale. 
Più sotto c'è Ca' di Toniée, patronimico da Toniello, piccolo Antonio, con sotto Il Pianello, l'area compresa tra Ca' di Toniée e Ca' di Vighi. Ca' di Toniée è citato nei Rogiti Serantoni del 1565 come "Casa Tonielli o Campo della Fontana". 
Lì nei pressi ci sono Le Biane, come Biana a Lizzano, per cui si possono fare alcune ipotesi: da "biada" (foraggio) dal latino medioevale "blada"; da "bianca", il primo sonno dei bachi da seta; da una radice longobarda "blaih", col significato di "pallido, sbiadito"; o da "piana". 
Poi La Nanna, perché un bel sonnellino ci vorrebbe, anche se piccolo; E'Ma∫ré, un maseréto, un gran mucchio di macerie o di pietre; E'Campdìn, un campettino; La Fontana.
Altro borgo è Ca' di Coréri di Corée, casa dei corrieri, nome posto in relazione alla presenza di corrieri a cavallo che si spostavano verso il confine con Modena, che corre (anche lui) ancor oggi sul crinale della Riva. Secondo la tradizione popolare, qui si trovava una stazione di posta con disponibilità di cavalcature fresche e di riposo per i corrieri. La parte più antica (e inquietante) di Ca' di Coréri è detta Zùifo, zolfo: in relazione alla presenza di questo minerale o di diavoli con corna e forcone?
Il toponimo Ca' di Mattiozzi è evidente patronimico da Mattiozzo, un Matteo (o Mattia) un po' bassotto e tozzo. Tra Ca' di Coréri e Ca' di Mattiozzi ci sono il castagneto La Cóvvalunga, perché lungo e stretto; La Nó∫a Lunga, penso riferito all'altezza della pianta e non alla forma del frutto; I Pra'I Àrgini, un campo a scalette (argini o terrazze); Sant'Antóggno, dove c'era una maestà, non più esistente, con l'immagine di Sant'Antonio; infine La Volpara, un edificio antico recentemente restaurato.
Per contrastare i demoni niente di meglio che una Badìa che forse, più che a frati o religiosi di altro genere, era da riferire a una sorta di ospitale, un luogo di sosta. 
Poco sotto ci sono le Case Bonucci, luogo di origine di una dinastia di valenti scalpellini: Rafèllo, Giovanni detto "Il Biondo", DimètroGiglio e tanti altri. Sotto la Badìa c'è Villa Marisa, un grande edificio che durante e anche dopo la Seconda Guerra Mondiale era il dancing più frequentato della zona; attualmente è una palazzina di appartamenti. 
Più vicino alla Strada Provinciale del Cavone ci sono Ca' d'la Gatta e La Pianaccia; a sinistra c'è una simpatica Spiaggétta, senza il mare. Di fronte, sull'altro lato della strada, c'è il bellissimo giardino-castagneto di Antonella Poli detto Pra' de'Munàro, il prato del mugnaio. La strada a fianco dell'oratorio è la Via della Borèlla che porta a Ca' del Topo, soprannome dei Gentilini, un tempo proprietari dell'edificio. 
La parte vecchia della Ca', con edifici del XVII secolo, è tutta sul lato destro della strada che sale al Cavone; proprio qui troviamo una via dal nome rivelatore, La Dogana, che scende subito a destra del parcheggio; ancora una volta troviamo un toponimo, o meglio un odonimo (nome di strada), che ci ricorda confini, dogane, cavalieri.
Rimanendo su questo lato della strada e andando verso Vidiciatico troviamo Camp'da Gabba e i casi sono due: o era necessario indossare una "gabbana" per lavorare questo campo o… qualcuno è stato gabbato! L'ipotesi più seria è quella che vuole "gabba" (non solo questo toponimo della Ca' ma anche il paese di Gabba) derivante dal latino "cavea", cioè gabbia, recinto: può darsi che qui si trovassero gabbie per la cattura di animali selvatici. 
Poco sotto ci sono I Pozzón, dove un tempo i ragazzi portavano ad abbeverarsi gli animali al pascolo perché qui si raccoglieva molta acqua; poi E' Gròtto, una piccola scarpata; La Cro∫e d'Gócctia, luogo che passa per essere infestato dai fantasmi: un tempo la strada passava infossata tra due argini di terra e sul cocuzzolo che la fiancheggiava (spianato dopo la guerra) si trovava una croce di legno, che secondo la tradizione popolare fu posta per ricordare la morte, in circostanze misteriose, di questo Gócctia, che forse non era molto grasso, visto che "gócctia" significa "ago". 
È solo un'anticipazione di ciò che ci aspetta al Malpasso (detto anche Ca' d'Pr'immo, casa di Primo),  dove "es ghe védde" e dove, effettivamente, nel 1890 fu ucciso un uomo in seguito a una lite.
Per fortuna che per uscire da questa situazione c'è… Ca' de' Cazzo: mi rendo conto che può sembrare irriverente, ma in questo modo si risolleva un'atmosfera un po' pesante. Il nome di questa località, che nelle carte moderne è detta Belvedere, è attribuito a Luigi Poli, valente scalpellino di poche parole, morto intorno al 1920. Un giorno, a chi si dimostrava insistente sulla sua destinazione, rispose: "Ma vo' a Ca' de'Cazzo!". Poche parole, ma chiare. 
I campi lì intorno sono detti Le Canósole: sempre a livello di ipotesi, si può pensare a una derivazione dal latino "canosus", canuto, bianco, argenteo.
Tutta l'area tra La Ca' e la strada che sale a Ca' di Lenzi (casa di Lorenzo) è detta Serra d'Ruschéda, italianizzato in un brutto Serra Boscheda, che snatura il significato originario di "luogo pieno di rovi", dal latino "ruscus", che indica il rovo o anche il pungitopo. 
A Serra d'Ruschéda c'è un incrocio di sentieri: quello che sale dalla Ca', quello che va a Ca' di Lenzi, quello che arriva dal B'dóllo e quello che va alla Doccióla, altro toponimo legato all'acqua. 
Per ciò che riguarda il B'dóllo, italianizzato in Bedóllo, secondo un'ipotesi di qualche tempo fa tale nome deriverebbe da betulla, voce di origine celtica che significa " bell'albero " ma che in realtà è scarsamente presente. L'ipotesi più valida è quella che afferma che il nome continua la base paleoumbra bedo- "fosso, canale", in questo caso con ildiminutivo –ullo.
Saliamo per il sentiero diretto alla Croce dei Colli affiancata, come si conviene, dai Colletti; poi si trovano I Lavàri: quest'area è particolare per la presenza di una vallecola colma di sabbia bianca e fine, molto diversa dal terreno circostante. 
Da qui scendiamo verso Rio Ri, toponimo tautologico, e risalendo verso La Castellinatroviamo La Fontana de' Merlo, una sorgente di acqua fresca che formava una pozza dove a volte si abbeveravano gli animali, merli compresi, circondata da giunchi e agrifoglio; poi E'Balz'd'la Biscia, di significato chiaro, posto di fronte a Ca' di Berna; poi La Bòctia, la testa, una tondeggiante propaggine della Castellina.
A questo punto siamo sopra Ca' di Gaberiée, Casa Gabrielli, patronimico da Gabriello (Gabriele): a destra, oltre il Fosso della Ca', c'è Pra' Sant'Antóggno, il prato di Sant'Antonio, così detto perché i Benassi di Casa Gabrielli, proprietari del terreno, a metà dell'800 stabilirono un legato secondo le cui disposizioni con i proventi del podere si doveva far dire una Messa a Sant'Antonio Abate nell'oratorio della Ca'. Il legato è tuttora vigente e i vari proprietari che si sono succeduti nel tempo, compresi gli ultimi, si sono adeguati e fanno celebrare la Messa. 
Poco sotto c'è La Casetta, da poco restaurata, che un tempo era raggiungibile dal vicino Molinetto, dove in epoca napoleonica si trovava un piccolo mulino clandestino, che serviva soprattutto per i disertori.
Scendendo a sinistra di Casa Gabrielli troviamo E' Pian de' Casón, che costituisce la parte più orientale del grande castagneto (ormai bosco misto) detto Le Nanne, anche se non par posto da neonati; all'interno delle Nanne ci sono I Borrón, toponimo rinvenuto molte volte nella nostra ricerca in relazione ad acqua che scorre fragorosamente, su terreno scosceso. 
Le Nanne terminano sopra Le Frascàre, che nella lingua parlata diventa spesso Le Frescàre: sempre di…  fresche frasche si tratta. Poco oltre ci sono I Pianée, i Pianelli, terreno pianeggiante dove ora c'è l'Hotel Everest e più avanti c'è La Trappola: la voce popolare afferma che un tempo qui abitassero delle maliarde che intrappolavano gli sprovveduti viandanti,  ma è molto più probabile che il nome derivi dal longobardo "trappa", con significato di laccio, rete, e abbiamo visto quanti luoghi qui nel nostro territorio fossero preposti alla cattura di animali. 
Poco più avanti c'è Il Torlaìno: poiché non risulta che le galline del Torlaìno facessero uova particolari, un'ipotesi è che il nome della località derivi dal latino "torulus", diminutivo di "torus", corda, legaccio, treccia e per estensione indica la forma dei rigonfiamenti fatti dai trefoli di una fune intrecciata, perciò potremmo dire "sporgenza, protuberanza". Ma l'ipotesi più convincente è una derivazione dal cimbro "tour, tür" che significa "portone, porta". Esistono toponimi simili sui Monti Lessini (Torla, Trezza del Tourla), mentre nella toponomastica atesina è frequente il termine "tür" usato per indicare un alto e incassato passo di monte. Tale termine potrebbe adattarsi alla posizione del Torlaino, località che si trova nel punto più stretto della valle, quindi una vera e propria "porta" aperta sull'alta valle del Dardagna.
Non so dove ci porterà il prossimo itinerario, ma quello di questa volta è stato molto interessante e per me (e spero anche per voi) sorprendente, tra demonio e santità.

                                                       


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